DOCUMENTAZIONE

 

 

30/09/2019

PRIMI CLASSIFICATI PER SEZIONE DEL 18° CONCORSO

 

Sez. poesia in lingua italiana
1° Classificato: “Cherso, mia patria” di Baccino Pietro da Savona

Motivazione: testo configurato come doloroso ricordo della fuga precipitosa dalla terra d’origine, l’esilio imposto da vili e antiumane considerazioni di parte politica, cui si contrappongono le immagini limpide degli anni giovanili, vissuti in libertà di espressione di sentimenti e pensieri.

Cherso, mia patria

Era di maggio, tempo di barbarie.
La falce della guerra si abbatteva
su gente senza colpa, tranne quella
di frequentare un idioma sgradito.
Era di maggio, e il padre a dorso nudo,
lo sguardo opaco senza il pince-nez,
segnato a sangue dalle mani ostili
e sommerso dall’odio si smarriva
nel buio di un andar senza ritorno.
Di lui ci resta una fotografia
e ricordi da bimbi, e il suo sorriso
se ci osservava cavalcare il mulo
e i giorni della festa, quando ognuno
nel calor della casa
scioglieva la sua gioia.
Niente più. Poi la fuga nella notte
sul bragozzo per Pola, ed era maggio
quando crollava un mondo e salutavo
l’isola patria per l’ultima volta
e gli affetti infantili frantumati.
E solo nei frammenti
della memoria rivivo quei giorni
e mi sovviene il sapore mielato
degli acini dorati sotto il sole,
i fichi dolci reclini sul ramo
e l’aroma di salvia e rosmarino.
Era di maggio, quando mi han rubato
il futuro possibile e la casa,
la cisterna del tempo di Colombo,
la nonna che affacciata alla finestra
mi sorrideva dolce, il giardinetto
della magnolia dalle foglie lucide
e i pesci rossi nella vasca tonda.
E’ lontana nel tempo e nello spazio
quest’isola, che torna alla memoria
quando accarezzo l’onda leggera
e ripenso alla tenue trasparenza
del mare che ho lasciato, alla ghiaia
di lucido calcare levigato,
alle reti approntate per la pesca.
E vedo ancora, con gli occhi d’allora,
i muri a secco e gli ulivi d’argento
nutriti dall’argilla, e nei recinti
pecore in cerca di un cibo povero.
E poi non vedo più, perchè si bagna
di lacrime lo sguardo, e mi abbranca
l’animo il desiderio del ritorno.

Sez. narrativa in lingua italiana
1° Classificato: “Io: il piacere di potermi librare felice in volo” di Giuseppe Macrì da Messina

Motivazione: Testo che elabora la difficile esperienza della sindrome di Asperger, in un percorso scandito da tappe della liberazione, fisica, emotiva, psicologica, in ragione di una disamina lucida delle caratteristiche della malattia e della lotta sostenuta per affrontarla.

Io: il piacere di potermi librare felice in volo

“Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c'è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica!”.(Albert Einstein)
Un tipo sta volando in mongolfiera e si perde. Si abbassa sopra un campo di granoturco e grida a una donna: “Sa dirmi dove sono e dove sto andando?”.
“Certamente” - risponde la donna - “È a 41 gradi, 2 minuti e 14 secondi a nord, 144 gradi, 4 minuti, 19 secondi a est; è a un’altitudine di 762 metri sopra il livello del mare, e in questo momento sta volando a punto fisso, ma era su un vettore di 234 gradi a 12 metri al secondo!”.
“Sorprendete! Grazie! A proposito, lei ha la sindrome di Asperger?” - chiede l’uomo.
“Sì!” - risponde la donna - “Come fa a saperlo?”.
“Perché tutto quello che ha detto è vero, è molto più dettagliato di quanto occorre e me l'ha detto in un modo che non mi serve affatto!”.
La donna aggrottando la fronte, replicava: “Uh! Lei è uno psichiatra?”.
“Sì!” - risponde l’uomo – “Ma come diavolo l'ha capito?”.
“Lei non sa dov’è! Non sa dove sta andando! È un pallone gonfiato, perché etichetta gli altri dopo aver rivolto loro soltanto qualche domanda, ed è esattamente nello stesso posto di cinque minuti fa, ma adesso, non si sa come, è colpa mia!” – ribatteva la donna.
(Jodi Lynn Picoult

Il mio viaggio verso “il piacere di potermi librare felice in volo”, è iniziato poco prima del mio secondo compleanno, quando i miei genitori notarono che il mio modo di parlare non si stava sviluppando come i miei coetanei, iniziando così a notare le differenze tra me e gli altri bambini della mia età.
Le persone che mi vedevano erano solite dire: “È un bravo ragazzo, è così tranquillo!”.
Il mio silenzio divenne però, a un certo punto della vita, una preoccupazione! Al festeggiamento del mio primo compleanno, mentre gli altri bambini balbettavano e si salutavano a vicenda, io vivevo il mio solito silenzio.
Ero e vivevo nel mio mondo e non rispondevo neanche quando mi chiamavano per nome!
Allarmati da questo mio comportamento, mio padre e mia madre fecero in modo che la mia pediatra venisse a vedermi, sperando che lei dicesse loro qualcosa come… “Siete dei genitori troppo apprensivi, mi avete fatto venir qui per nulla!” … e che tutto fosse nei parametri giusti per la mia età e che stavo bene.
Non doveva esserlo! Era solo a casa nostra da un paio di minuti che un’espressione preoccupata si impadronì del suo viso. Lei iniziò a visitarmi, a farmi domande e subito si rese conto, azzardando una diagnosi, che potevo essere affetto dalla sindrome di Asperger, insomma che potevo essere… autistico, senza tuttavia presentare compromissione dell’intelligenza o della comprensione e dell’autonomia.
I miei genitori, nel sentire questa diagnosi, questa sentenza, l’aver riconosciuto in me un nemico mostruoso con cui avrei dovuto conviverci a vita, se fosse crollato sopra loro il soffitto, avrebbe fatto meno male. Scoppiarono in lacrime non appena iniziò a parlare di questo mio possibile, anzi per lei certo problema.
“Lei è fuori di testa, come può dire che nostro figlio ha la sindrome di Asperger? Albert risponde quando lo chiamiamo e non ha quello sguardo spoglio e vuoto nei suoi occhi che è “tipico” di un bambino con l’autismo!” - rispose deciso e in malo modo, mio padre.
Allora, i miei genitori erano molto ignoranti sull’autismo e non si rendevano conto che c’era uno spettro così grande e vario all’interno della stessa malattia, e iniziarono a gridarle in faccia e a chiunque altro che avrebbe potuto ascoltare che… si sbagliava!
“Capisco che la mia diagnosi vi abbia traumatizzato, ma dovete sapere che l’autismo è un “disturbo dello spettro”, nel senso che i bambini che ne sono affetti mostrano sintomi che vanno da lievi a gravi! Vostro figlio al momento ha solo dei sintomi lievi! Poi fate voi, questa è la mia diagnosi!” - ribatté la pediatra, anche un po’ offesa dal fatto che la sua valutazione fosse stata messa in dubbio.
Anche se non era una esperta nel settore, aveva, infatti, potuto appurare che qualcosa in me non andava e consigliò subito un centro specialistico proprio per questa sindrome e per farmi sottoporre a una più attenta e competente valutazione.
Giustamente non paghi della diagnosi della mia pediatra mi hanno portato al nosocomio della mia città, al centro di pediatria. Qui loro sono stati rassicurati da un neurologo di non preoccuparsi, giacché ero ancora molto giovane e attendere solo per vedere come sarebbe evoluta la questione. Sfortunatamente e anche stupidamente loro si sono aggrappati alle parole di questo “luminare” per i successivi 18 mesi e hanno rifiutato di ascoltare o credere alle preoccupazioni di qualcun altro (più preparato) sul mio sviluppo. Ci sono stati momenti in cui erano veramente preoccupati e disperati, ma continuavano a rassicurarsi su quello che aveva detto il neurologo del nosocomio locale.
Sebbene fossi un bambino in fondo dolce, non interagivo molto con gli altri bambini della mia età, non riuscivo a stabilire un contatto visivo o a sorridere e non volevo soprattutto essere toccato. Non mi piaceva essere coccolato e non mostravo il desiderio di essere preso in braccio.
Crescendo, non rispondevo all’affetto fisico manifestato dai miei genitori o da qualche parente o loro amico che veniva a casa. Mi mancava l’empatia e tendevo a fissare molto le persone. Mostravo qualche problema con certi cibi e parlavo poco usando pochi termini e anche molto semplici, parlavo con una voce monotona, con frasi spezzate e frammentate e mi riferivo a me stesso in terza persona.
Quando compii tre anni, i miei genitori mi iscrissero in un asilo comunale. Le maestre erano di vecchia scuola, nel senso che se vedevano un bambino avere dei deficit, la loro risposta era quella di arginare, emarginare il problema, e questo rese solo meno vantaggioso il mio percorso!
Dovetti abbandonare o meglio i miei genitori dovettero riportarmi a casa quasi subito, anche perché le strutture per l’infanzia non accettano i bambini che non sono addestrati al vasino.
Parlavo di me in terza persona! Sconoscevo le parole… io, tu. Quando volevo il latte, andavo al frigorifero e dicevo: “Mamma vuole il latte?”. Combinavo nella mia richiesta chiedendo a lei del latte, domandandole se era lei a volere del latte. Mia madre poverina, provava a correggere queste mie espressioni e cercava di lavorare con me su queste, senza che io avessi alcuna comprensione di ciò che stava provando a insegnarmi.
Ero attirato, restandone quasi ipnotizzato, dalle luci lampeggianti, i ventilatori a soffitto e gli oggetti scintillanti.
Alla fine, quando avevo 3 anni e mezzo, i miei genitori finalmente si son decisi che io fossi valutato da un esperto di consulenza specifica e la relazione clinica che hanno ricevuto è stato un quadro orribile. Non avevano ancora accettato che potessi essere autistico, ma ora erano disposti a permettere che fossi visto da pediatri, logopedisti ecc., gente qualificata e non “luminari” di periferia del quarto mondo!
Fui sottoposto, da quel momento, a una serie di test per la parola, la lingua e le abilità sociali. Il dottore ha parlato con i miei genitori e ha trascorso del tempo lavorando con me e osservandomi. Anche se erano pronti per le notizie più catastrofiche, era ancora molto, molto difficile per loro ascoltare una diagnosi di… “autismo”
Purtroppo questa, fu per loro terribile, non altro che una conferma alle domande che in tutti gli anni avevano continuato a porsi: “Vostro figlio è affetto da autismo! Ha un disturbo dello spettro autistico e un disturbo dell’integrazione sensoriale - proseguendo - Dovete sapere che l’autismo, l’ASD, (Autistic Spectrum Disorders), è un “disturbo dello spettro”, nel senso che i bambini che ne sono affetti mostrano un disturbo dello sviluppo che causa problemi sociali e di comunicazione. Vostro figlio Albert, che è all’ultimo stadio dello spettro di funzionamento, ha un’intelligenza superiore alla media, ma evidenti problemi sociali, comportamentali e linguistici. All’età di 4 anni, ha un vocabolario di poco più di 20 parole, quando i suoi pari sono chiacchieroni e ha problemi con la sua memoria; non riesce nemmeno a ricordare i nomi dei membri della vostra famiglia!”.
Anche se, al momento della diagnosi, loro sapevano che il centro mi avrebbe potuto accogliere nella struttura, quando sarebbe arrivato il mio turno, quando si sarebbe liberato un posto, per cominciare a darmi tutto l’aiuto necessario perché potessi iniziare a fare i primi passi in quel percorso lungo e difficile, erano distrutti ugualmente dentro. Sarei dovuto rimanere nelle liste d’attesa! Al momento segnalarono loro solamente un gruppo di supporto locale esterno e nient’altro!
Si allontanarono dal centro, sentendo il bisogno di tornare a casa almeno con qualche medicina per farmi stare meglio, ma ovviamente non esiste una cura farmacologica per l’autismo! Il loro cuore era stato spezzato e non potevano nemmeno sopportare di dire a parenti stretti e amici quello di cui ero affetto. Timidamente però, superando quello stato di paura, di vergogna che li attanagliava, sì di vergogna, come se la mia malattia fosse dipesa da una loro colpa, iniziarono a coinvolgerli, spiegando loro le piccole informazioni che conoscevano sull’autismo in quel momento. Quello che era stato detto loro dai “veri specialisti”. Per fortuna la mia famiglia, i miei parenti più prossimi, in qualche modo ci hanno sostenuti e tutti sono diventati sempre più desiderosi di imparare il più possibile sull’autismo al fine di migliorare le loro relazioni con me.
All’età di quattro anni non ero ancora abituato a fare i miei bisogni sul vasino. Mia madre ci provava già da due anni senza mai forzarmi o punirmi in alcun modo per il mio rifiuto. Gridavo se mi metteva da qualche parte vicino al vasino, ero come terrorizzato spaventato dal fatto che sarei potuto cadere se mi fossi seduto su quell’oggetto. Soffrivo di stitichezza cronica, che per me era tra l’altro molto dolorosa. Stavo in un angolo e mi nascondevo, non riuscivo a defecare e urlavo. Non potevo sopportare di avere un pannolino sporco e odiavo stare nudo, anche solo per fare il bagno. Avevo paura dell’acqua! Mia madre poteva contare sulle dita delle sue mani quello che volevo mangiare. Formaggio, pane, pesce bianco, pasta con il formaggino, cracker salati e latte.
Trascorrevo le mie giornate con sempre al mio fianco mia madre che lavorava con me
Il supporto locale esterno ci mise, dopo un po’ di tempo, a disposizione un terapista occupazionale e un’insegnante di educazione speciale, che sarebbero venuti a casa per lavorare con me e i miei genitori sulle mie abilità motorie e il mio linguaggio. Prima solamente due ore a settimana, poi successivamente quando fu possibile qualche ora in più.
Sfortunatamente, la realtà impone che l’aiuto per un bambino con autismo non sia consegnato a nessuno su un piatto d'argento. Deve essere perseguito senza sosta. Così, il resto delle giornate, mia madre era sempre al mio fianco lavorando con me e utilizzando gli strumenti e i processi che il mio terapista occupazionale le aveva insegnato e che aveva imparato dai libri e da internet riguardanti l’autismo e il disturbo dell’integrazione sensoriale. Per mesi e mesi non ci sono stati progressi.
Il loro grande cruccio era quello di chiedersi continuamente se avessi potuto avere una vita autonoma quando fossi diventato grande, se avessi potuto guidare, avere un lavoro, sposarmi! Tutte domande legittime che un genitore si pone per un figlio normale, figuriamoci per uno… autistico.
Fui visitato da specialisti del settore, altamente preparati per affrontare situazioni come la mia!
Partecipai anche con i miei genitori a gruppi di giochi settimanali coordinati dal programma di intervento precoce
Il lavoro della mia insegnante è stato costante e paziente, lavorando dapprima con i miei genitori per identificare le opportunità di comunicazione e gli obiettivi all’interno delle loro attività quotidiane in casa e fuori.
Dopo moltissimi mesi si iniziarono a vedere briciole di progressi! Un lentissimo ma costante accumulo di apprendimento ha portato a scoperte quasi veloci, quando raggiunsi le soglie cognitive. I miei genitori erano superfelici quando la mia insegnante sottolineava l’importanza di costruire competenze linguistiche ricettive, diceva loro che le mie capacità ricettive avrebbero alimentato le mie abilità linguistiche espressive. Più e più volte mi chiedeva mostrandomi delle immagini: “Dov'è il gatto nero?”, “Dov'è il gatto bianco?”, “Dov’è l’ape?” esortandomi a puntare con il dito e a indicare. Quando la mia prima parola fu “Pe”, proprio indicando l’ape, restarono stupiti. Erano passati parecchi mesi da quando la mia maestra mi aveva insegnato per la prima volta che cosa fosse un’ape.
Poi, lentamente, ma inesorabilmente, iniziarono a verificarsi piccoli miracoli. Con l’aiuto degli esperti del settore, i sintomi, i comportamenti e i ritardi possono a volte essere completamente invertiti. Le caratteristiche restanti possono ridursi a irriconoscibili o appena rilevabili. Le forze possono essere costruite e ciò che sembra veramente un miracolo… può accadere.
I miei genitori erano orgogliosi dei piccolissimi progressi che andavo facendo. Dei piccoli traguardi che andavo raggiungendo.
Il primo miracolo uno dei più piccoli, anche se è stato per mia madre uno dei migliori giorni della sua vita, è stato quando mi ha convinto a sedermi sul vasino. Quel giorno, son riuscito a superare la mia paura e da quel momento non l’ho visto come una cosa terrorizzante. Avevo 5 anni e mezzo!
Con forza, speranza, capacità di recupero, i giusti terapisti e insegnanti della parola, gli insegnanti comportamentali e occupazionali, è possibile compiere progressi significativi così come li ho fatti io.
In pochi mesi riuscii a usare frasi composte da tre a quattro parole e i miei genitori non stavano nella pelle quando iniziai a manifestare i miei desideri come volere un bicchiere di acqua o comunicare di voler andare in bagno.
Stavo finalmente condividendo le mie idee e commentando le cose che vedevo!
Da qui iniziai a frequentare una scuola materna speciale a pagamento, con servizi di supporto specifici per la mia patologia iniziando a fare enormi progressi con le mie abilità.
Le mie scoperte continuarono ad arrivare giorno dopo giorno, sempre a piccolissimi passi, grazie alla terapia mirata dei miei insegnanti e ai miei genitori che non potrò mai finire di ringraziare.
Un lavoro continuo per costruire le mie capacità comunicative eliminando quei blocchi che vi erano nel mio cervello.
Una cosa, per esempio, che non riuscivo ad apprendere erano i giorni della settimana o i mesi dell’anno. Per me era come voler vedere qualcosa che era ed è astratta, qualcosa che non è possibile neanche toccare, il tavolo, la sedia si vede e si tocca! Non potevo imparare neanche queste semplici cose fintanto che non furono eliminati proprio questi blocchi.
Un bambino autistico è un pensatore visivo; le nozioni gli devono essere insegnate in modo diverso rispetto agli altri bambini. Questo deve essere lentamente incoraggiato a provare cose nuove, nuovi cibi, nuove routine, ecc. Quando questo bambino diventa un po’ più grande, inizia ad avere un concetto minore dei segnali sociali e delle regole sociali. A un bambino non autistico gli si può chiedere di fare una faccia triste, una faccia arrabbiata, una faccia felice e una faccia spaventata. Questa è una cosa simpatica che rientra nella normale fase di sviluppo per tutti i bambini piccoli per riconoscere le proprie emozioni e come l’aspetto del loro viso è percepito dagli altri. Io non avevo assolutamente idea di come le mie azioni e le mie emozioni influenzassero chi mi circondava o che io potessi comunicare attraverso le mie azioni o le mie emozioni. Ora riesco a farlo!
Avevo 6 anni, quando per la prima volta mangiai una caramella. Il mio terapista occupazionale insegnò a mia madre di farmi toccare prima un nuovo cibo, farmelo annusare, averlo sul piatto, indipendentemente dal fatto che lo potessi mangiare o no, e alla fine farmelo toccare con la lingua. Lentamente e metodicamente mia madre mi ha introdotto nel mondo dei nuovi alimenti. I miei problemi sensoriali facevano sì che ogni cosa avesse un gusto molto più forte per me che non per gli altri e soprattutto ho avuto grossi problemi con la consistenza dei cibi.
Adattarsi ai nuovi cibi, come a tutto ciò che è nuovo, è un processo lungo e forzare non fa assolutamente bene a un bambino con problemi sensoriali.
Nel corso di tre anni, passai dal mangiare solo quei sei cibi a mangiare quasi tutto!
Le preoccupazioni dei miei sul fatto che non mangiavo mai qualcosa di nutriente erano finalmente finite, e come tutti sappiamo, la nutrizione è vitale per lo sviluppo del cervello e per la salute generale.
Questo è un altro piccolo miracolo che ha cambiato la mia vita, la mia salute, e mi avvicinava di un passo alla “normalità”!
Sono stato incoraggiato a usare simboli e il linguaggio dei segni per farmi capire. All’età di otto anni parlavo con frasi semplici, procedendo anche bene!
Altro loro cruccio era quello che prima o poi mi sarei reso conto di essere diverso dagli altri bambini della mia età. Sicuramente ero già consapevole di non essere come i miei coetanei e di avere delle difficoltà in molte materie a scuola. Come era pur vero che gli altri bambini mi trattavano in modo diverso e chiedevo ai miei genitori il perché.
Poi man mano che son cresciuto e le mie attitudini miglioravano, sono riuscito ad avere…piccolo gruppo di amici, che erano sempre lì per me indipendentemente dal mio bisogno. Ancora oggi in contatto tra noi, il che è un buon segno giacché hanno vissuto il mio stesso percorso di scuola e di vita attraverso i miei alti e bassi.
Ho cercato anche di adattarmi ad altri ragazzetti al di fuori della mia cerchia di amici veri a scuola, naturalmente prima con scarsi risultati. Gli amici della scuola sapevano di me, era stato spiegato loro dalla propria famiglia che avevo bisogno anche del loro aiuto, e l’ho avuto!
Probabilmente per altri è stato troppo difficile accettarmi!
Ho frequentato anche una squadra di calcio supportato dai miei genitori e da quegli stessi compagni di scuola che hanno fatto tanto per me! Che amici che sono stati!
Poi si sa, le strade crescendo si separano! Ognuno prende la propria! Con qualcuno di loro continuo ancora oggi a chattare su facebook!
L’attenzione al lavoro direzionale mi ha permesso di seguire le istruzioni in classe e anni di giochi di ruolo mi hanno aiutato a gestire le transizioni da un’attività all’altra.
La mia meravigliosa famiglia e i miei straordinari educatori e specialisti mi hanno fatto diventare ciò che ero e sono diventato. La mia giornata non era giornata senza di loro! Ero diventato grazie al loro infinito amore e alla loro dedizione e professionalità una persona nuova.
Già a quattordici anni leggevo bene, ero diventato un grande lettore ed ero migliorato tantissimo in matematica e nella scrittura. Mi bastava vedere un’immagine che già l’avevo memorizzata per sempre. Ero e sono affascinato da tutto il mondo scientifico e dalla modellazione della creta. Ero diventato un piccolo artista e le mie abilità informatiche erano fantastiche.
Mia madre, quando per la prima volta venne a casa la mia prima insegnante, le chiese: “Albert parlerà mai?”.
Lei la rassicurò: “È un ragazzo intelligente! C’è un grande potenziale dentro di lui! Ci vorrà solo del tempo e tanta pazienza perché lui possa esprimersi!”.
Aveva ragione!
Cominciai ad andare sullo skateboard, andare in bicicletta, giocare a palla e battere un videogioco. Memorizzavo canzoni e testi con rapidità sconcertante e mostravo anche una certa affinità per la musica anche se ero e sono stonato, ma comprendo bene le note musicali.
Sospetto sempre che ci sia un grande talento in me ancora da scoprire!
Il mio parlare era diventato quasi completamente normale. Anche se c’erano ancora dei momenti in cui, cercando di comunicare un pensiero, questo veniva fuori in modo indiretto. Erano finiti i giorni in cui i miei genitori non avevano idea di cosa provassi, cosa pensassi o cosa stessi cercando di dire. Erano finiti i giorni di mettere le cose in fila, di impilare uno dietro l’altro gli oggetti o una su l’altra le lattine di fagioli o di conserve in scatola, in maniera quasi robotica. Erano finiti i tempi dei ritardi drastici e strazianti. Sono finiti i giorni di preoccuparsi per i miei se un giorno potessi andare all’università, guidare, avere una fidanzata, sposarmi e avere figli propri.
Non vedevo l’ora di essere più indipendente, anche imparando a guidare. Avevo sempre pensato che vivere per conto mio sarebbe stato complesso perché trovavo molto difficile compilare moduli o fare delle telefonate. Anche una semplice discussione al telefono poteva farmi entrare nel panico, bloccandomi senza poter profferire più alcuna parola! Ero comunque sicuro e certo che pian piano avrei potuto gestire, alla fine, tutto con l’aiuto anche dei miei genitori, che come chiocce mi stavano accanto, guidando i miei piccoli passi, i miei piccoli, ma grandi successi.
Presi la patente! Ho conosciuto anche una ragazza, ci siamo innamorati, da subito le ho raccontato il mio trascorso.
Certo, quando abbiamo iniziato questa relazione, ce n’è voluto di tempo per abituarsi. Spesso avevo la mia agenda e le mie routine che mi ero prefissato, e la mia mancanza di flessibilità poteva essere sconvolgente e frustrante per la mia fidanzata, ma il suo amore per me… ha permesso di superare questi ostacoli. Ci siamo sposati e ora ho due figli, non “autistici”. Figli che amo più di ogni altra cosa e che hanno reso la mia vita degna di essere, ancor di più, vissuta.
Ho fatto domanda per diversi lavori ma non ho mai avuto successo. Decisi che era necessaria più istruzione e andai nuovamente a scuola per finire gli studi che avevo lasciato.
Sono riuscito anche a conseguire un diploma magistrale.
Alla fine, ho ottenuto un lavoro in una scuola. Dovevo essere l’insegnante privato per una ragazza in una scuola media. Aveva la sindrome di Asperger. Vidi che la ragazza viveva uno stato di agonia emotiva. Mi sono riconosciuto in lei!
A questo punto, avevo imparato a conoscere gli ASD e sapevo che uno di questi ero proprio io. Eppure ci sono voluti molti altri anni per ricostruire la storia della mia vita alla luce di questa conoscenza. Quando i genitori della ragazza si son voluti confrontare con me, sono rimasti allibiti per la mia franchezza, per questa mia “stranezza”. Ho provato a insegnare in altre scuole, ma è stato un disastro! I bambini delle superiori si prendevano gioco di me, proprio come i miei coetanei quando ero al liceo. Ho provato l’insegnamento nella scuola media, ma i ragazzi si comportavano come se nell’aula non ci fosse un adulto, un insegnante. Chi saltava di qua e chi schiamazzava di là! Il rumore, il caos che regnava in quella classe aveva semplicemente fermato il mio pensiero, ed era per me una cosa terrificante. Il preside mi ha chiamato nella sua stanza e mi ha detto che mi guardavo intorno come un bambino spaventato, per questo i ragazzi non mi rispettavano.
L’insegnamento non faceva per me!
Lo scorso giugno, ho iniziato a lavorare da casa, a commercializzare via internet, pacchetti vacanze e ad aiutare altre persone a raggiungere il successo nelle loro attività.
Nessuno può dire al telefono se le mie espressioni facciali non sono del tutto “corrette”. Nel mio ambiente riesco a controllare bene il mio lavoro, mi prendo tutte le pause che mi necessitano e gioco tanto con i miei figli che sono ancora piccoli.
Tutto quello che faccio non è criticabile o contestabile da chicchessia! Questo è solo un affare mio e nessuno può licenziarmi! Sono finalmente riuscito dove tanti “normali” hanno fallito!
Nel tempo libero che mi rimane, sto cercando di saperne di più sulla mia sindrome di Asperger e di scrivere delle mie esperienze e di molte altre cose che mi interessano. Lo faccio solo per divertimento al momento, ma spero, un giorno, di riuscire a pubblicare qualcuno dei miei articoli. Anche se, visto il tempo che mi ci è voluto per scrivere, sono contento di aver vinto anche questa mia battaglia!
Ho anche degli hobby! Sono un membro di un sito Web che supporta i genitori e gli accompagnatori di bambini con autismo e aiuto a gestire la loro “chat room” e a scrivere i loro aggiornamenti mensili. Sono membro da oltre quattro anni e spero di averli aiutati tanto quanto mi hanno aiutato.
Questi potrebbero non sembrare cambiamenti epocali, ma per me rappresentano un cambiamento fondamentale in ciò che voglio fare della mia vita. Mi sono reso conto che non si tratta di fare ciò che fanno gli altri, ma di fare ciò che voglio fare! Si tratta di seguire la mia strada, vivere la mia vita e trovare la mia definizione di successo.
Sono ancora ansioso e capita qualche volta che mi possa perdere quando esco, ma con l’aiuto di un navigatore satellitare riesco a ritrovare la strada intanto che mi sto allenando, e sto provando anche alcune tecniche di rilassamento che aiutano l’ansia.
Non sono ancora sicuro se avere la sindrome di Asperger è una cosa buona o cattiva, ma quello che so è che fa parte di ciò che mi rende ciò che io sono. E io sto bene con questo!
Spero di ricompensare tutta la mia famiglia, i miei insegnanti, i miei tutori e gli amici per tutto il loro supporto e la comprensione nei miei confronti. Tutto il mio successo passato, presente e futuro è dovuto solamente al loro amore.
Guardando indietro, il mio miglior consiglio per i genitori con bambini in attesa di una diagnosi o per averne appena ricevuta una è di parlare con tutti gli altri genitori che vivono questa stessa esperienza senza paura e senza vergogna. Imparerete molto da loro e sapere che non siete soli in questo viaggio è un grande sostegno e conforto. Altro consiglio che posso darvi, poi, è anche di prendere tutto l’aiuto che vi possono offrire e gridare con tutta la voce che avete dentro per tutti coloro che possono trovarsi nelle mie stesse condizioni. Va bene piangere, anche chiedervi perché vostro figlio ha l’autismo, guardare gli altri bambini con invidia, sentirsi arrabbiati e frustrati e tutte le molte altre emozioni che sentirete, l’hanno avuta tutti i genitori di bimbi autistici, ma credetemi, viaggerete attraverso questo mondo e scoprirete che c’è una luce alla fine del tunnel! Questo non vuol dire che non vi saranno ancora brutti giorni, ma anche se in quei brutti giorni vorreste chiedervi perché vostro figlio ha l’autismo, non significa che dobbiate odiare l’autismo o chiunque con esso. Gridate al mondo intero che vostro figlio ha l’autismo e non che l’autismo è vostro figlio! Amate più che mai ogni piccola parte di lui con tutto il vostro cuore così come han fatto i miei genitori con me! Accettare e affrontare la diagnosi è un processo molto doloroso, ma vedere il proprio figlio superare tanti ostacoli è una grande, immensa gioia. Siate perseveranti mamme e papà di bambini con disturbo dello spettro autistico. Ci saranno molti dolori, lacrime, frustrazioni e preoccupazioni. Ma insieme a queste cose sbocceranno trionfi, orgoglio e momenti di incommensurabile esultanza. Io non mi sento più perso e intrappolato nella mia piccola mente confusa! Ho visto come ho superato i miei traguardi e ho visto i risultati dopo ogni ostacolo! Ho visto il ritardo lentamente andare via! Potrei non essere mai “normale”, ma mi considero speciale! Ho insegnato ai miei genitori tanto da renderli incredibilmente fieri di me!
Oggi vedo il mio autismo come una cosa positiva nel complesso. Non definisce chi sono ma fa parte del mio trucco, lo accetto e ne sono orgoglioso.
Oggi vivo per mia moglie, i miei figli e la mia famiglia e vorrei ringraziarli tutti per essere lì per me.
Oggi posso gridare al mondo intero che finalmente sto provando…

Conclusioni dell’autore

Ad un bambino su 150, viene diagnosticato il “Disturbo dello spettro autistico” (Autistic Spectrum Disorders - ASD). I clinici sempre più spesso ormai utilizzano la dizione ASD, per indicare Autismo, Asperger e Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS) . Questa definizione (spettro autistico) significa che il disturbo colpisce queste persone in modo differente variando da una lieve a una grave sintomatologia. I disturbi dello spettro autistico hanno vita comunque da una compromissione dello sviluppo che compromette le abilità di comunicazione e di socializzazione, e sono spesso associati a comportamenti inusuali (ad esempio comportamenti ripetitivi o stereotipati) e a un’alterata capacità immaginativa. Questa diagnosi si effettua ugualmente su ogni razza nel mondo e in ogni demografia socioeconomica. Si è potuto appurare che 3 bambini su 4, nati con autismo, sono maschi. C’è una maggiore incidenza di diagnosi di bambini con ASD rispetto ai bambini nati con la sindrome di Down, fibrosi cistica e bambini con diagnosi di tumori infantili. La gamma di comportamenti, sintomi e il livello di gravità è enorme. Ci sono disturbi di accompagnamento come: disturbo dell’integrazione sensoriale, disturbo ossessivo - compulsivo, disturbi immunitari, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD), disturbi d’ansia e convulsioni. Ci sono bambini a basso funzionamento con autismo che hanno ostacoli significativamente più difficili e molte volte incurabili. La prognosi per i bambini ad alto funzionamento con autismo non è così triste come una volta, finché il bambino riceve aiuto. C’è così tanto che molti non sanno di questo ampio spettro e purtroppo i pediatri spesso mancano di centrare i segnali.

Sez. poesie in lingua piemontese
1° Classificato: “La masca” di Anna Maria Molinaro di Piovà Massaia (AT)

La masca

Da quand mia fomna è për sèmpe ‘ndaita via,
ant la mia ca a j’è na masca a feme companìa,
as fà nen voghe, ma as sent, bòja s’as sent,
pì che na companìa peuss di c’a l’é ‘n torment.
Ij cotej a vòlo: tajo salada, tomàtiche e povron
e tuta la vërdura për fé cheuse lë mnestron,
ant la bronsa ‘l cassul a gira për sò cont,
a mesdì precis, an s’la tàula a l’è tut pront.
A cor la scoa, as bato tapiss e strass,
as giro da soj anche cussin e matarass,
ant ël bagn a fà andé la lavatriss,
centrìfuga a mila, a-i fà sauté bolon e vis.
Tabussa e roja ant ij tirèt dla scrivanìa,
ant ël còfo am mës-cia tuta la lingerìa,
gòlfin e giache am boton-a ‘d travers,
caussèt e mudande am gira da l’invers.
Quand i vag via, al camposanto o al mercà,
am set an màchina, ‘l motor l’é già ‘nviarà.
Zanzarin e mosche a scapo, a vòlo fòra,
fin-a ‘l gat a l’é andà a vive da mia nòra.
La sèira, ch’am cog, as fà anche ringrassiè,
perché ch’am giuta, perché ch’as dà da fé,
mi i pòrto passiensa, sorid-o, la saluto con la man,
a-j dago la bon-a neiut e l’arvogh-se a l’indoman.
I dev dì ch’i son abituame a sa stran-a presensa,
e ormai peuss pròpi pì nen fène sensa,
am viv ansema da quand mia fomna è ‘ndaita via,
pì che ‘n torment, dev pròpi dì ch’a l’è na companìa.

Traduzione:
Il fantasma

Da quando mia moglie è per sempre andata via (morta),
nella mia casa c’è una masca (un fantasma) a farmi compagnia,
non si fa vedere, ma si sente, altroché se si sente,
più che una compagnia posso dire che è un tormento.
I coltelli volano: tagliano insalata, pomodori e peperoni,
e tutta la verdura per far cuocere il minestrone,
nella pentola il mestolo gira per conto suo (da solo),
a mezzogiorno preciso (in punto), sul tavolo è tutto pronto.
Corre la scopa, si battono tappeti e stracci,
si girano da soli anche cuscini e materassi,
in bagno fa viaggiare la lavatrice,
centrifuga a mille, le fa saltare bulloni e viti.
Bussa e rimesta nei cassetti della scrivania,
nella cassapanca mi mescola tutta la biancheria,
golfini e giacche mi abbottona di traverso (spaiati),
calzini e mutande mi gira al rovescio.
Quando vado via, al cimitero o al mercato,
mi siedo in macchina, il motore è già avviato.
Zanzare e mosche scappano, volano fuori,
perfino il gatto è andato a vivere da mia nuora.
La sera, che mi corico, si fa anche ringraziare,
perché mi aiuta, perché si da da fare,
io porto pazienza, sorrido, la saluto con la mano,
le do la buona notte e l’arrivederci all’indomani.
Devo dire che mi sono abituato a questa strana presenza,
e ormai non posso più farne senza,
vive con me da quando mia moglie è andata via (morta),
più che un tormento, devo proprio dire che è una compagnia.

Motivazione: Quella che a tutta prima pare una storia di fantasia, poco per volta si rivela per quello che è in realtà: una poesia d’amore. Amore per una compagna di vita che il destino ha allontanato, ma la cui presenza eterea, sia pure reale in certe interpretazioni, la mantiene presente in una forma assai più concreta dei soli ricordi nella memoria. Scrittura buona e forma che la mancanza di costanza nella presenza delle rime rende un po’ meno scorrevole.

Sez. narrativa in lingua piemontese
1° Classificato: «Franceschin da Viebolche» di Denis Piantino da Mottalciata (BI)

Franceschin da Viebolche

La " Valmòss", ch'a l'è un-a dëj valade pù bèle dël Bielèis e nen da meno dëj pù famose val d'Oropa val dël Serv e val ëd l'Elv, la part da la sitadin-a 'd Cossà e la rampia su fin-a Trivé anté ch'a j'è la bèla e turistica vista dla "Panoramica Zegna". Combinassion con ël prum ëd gené dël 2019 la stacce na fusion con 4 pais: Valmòss, Moss S.Maria, Trivé e Soprana con circa 11000 abitant ch'a j'an ciamalo Valdilana. Naturalmente, tanme tute 'l ròbe, con quaj masnajada polémica e nen da pòch. Franceschin da Viebolche, l'avgnìa pròpi da là. Lo ciamavo Cicòto për via dël sò vissi ch'a-j piasìa ògni tant quaj cichetin ëd grappa. Viebolche l'è sla provincial anté che 'l bivi dla strà (da lì forse 'l nòm) a divid ij diression: a la dricia për Trivé e l'àuta për Mòss Santa Maria. Scinquanta mèter dal bivi sla snistra andand an su, j'era n'osterìa. Pròpi lì davsin ës trovava la baita 'd Cicòto, ĝiù për la riva ch'a costegiava na strajola ch'a la finissìa an 'na frassion pù sota. La ĝent a disìa ch'al fussa n'orfanèl abandonà dinta na scista as jë scalin davanti 'l porton ëd na gesa 'd Borgsesia anlupà con na querta 'd lan-a pròpi al di 'd san Fransësch, dal qual probabilmet j'avo gavà 'l nòm ch'a j'èjo daje. L'èja trovà sa baita tuta drocheri che 'l padron, ormai vecc, l'ava dàila sensa dovèj paghé un centesim ëd ficc a pat ch'a l'èjsa rangiala 'n brisinin. Cël nen con pròpi tanta preòcopassion e men che meno pressa, l'ava taconà 'n pòch ël cop cambiand quaj lòsa e sistemà 'l camin che ormai al tirava gnanca pù su 'n sospir. Dinta an col vecc baiton j'era anco na taula vegia, tuta gamolà, che con quat ciòv arĝiolent l'ava taconala a la "viva 'l previ". Un sciuch 'd castigna bel gròss l'era la soa cadrega, sensa spalera, che però l'ava butaje sora un tòch ëd coverta 'd lan-a mesa taconà tame fussa 'n cusin, ch'a l'ava tròvà dinta 'n sach arsujà dij ratte. Ël lecc l'era la ròba pù 'd valor ch'a-j fussa la dinta. Gnun ch'a sèjsa me ch'a l'era rivà beli li, gnanca 'l padron a lo sava nen. L'era un lecc ëd na piassa con na litera 'd nos un pòch gamolà ma anco bèla. Tròp bèl confront a tuta l'àuta ròba. Cicòto l'ava pròcurase na pajassa da na fomna ch'a l'era nen pròpi 'n "tipo" ansi, disumlo pura: bastansa brutin-a ĝià "grandin-a" e da marié, ch'a la stava lì visin an cambi d'un travajòt un pòch particolar. Forse j'èjo capì la proveniensa 'd col lecc. Oltre a cola pajassa an seguit l'arìa peu rivaje fin-a n'armari picinìn due cadreghe e quaj vira fin-a un piat ëd polenta e lacc, sempe grasie a coj travajòt (l'era la soa passion principal) che ògni tant l'andava fèje a cola "blëssa" ch'as ciamava Malia. Sensa sté voghe 'l tut me ch'as dì da sempe: "na man a lava l'àuta". L'ava facc-se fin-a amis d'un monsù ch'a la stava a la frassion Bonde, un pòch pù sota d'anté ch'a l'èja la baita. Ës t'òmo l'era padron d'un mòtocar -Falcon Guzzi- ch'a lo dovrava për andé còje vinasce ant ij pais ch'a favo 'l vin sle colin-e fin-a Massran , Ëlson-a e Lòscio. Cicòto l'andava svens ajutelo a dëscarié e ampinì ij lambich che col òm dòp avèj viscà 'l feu, al fava buje tut ël temp necessari për distilé cola essensa ch'a l'era la grappa. Ës qui l'era 'l motiv e la mira che ògni tant al dovìja travajé: për podèj vagnese na botin-a 'd grappa, portròp la soa seconda granda passion. Quand ch'a l'era libër ëd si impegn piasos, con la soa biciclëtta mèsa scasà con ël pòrtapach e ij fren a bachëtta, ma mèch pù un fonsionant però (me ch'al fava quand ch'al calava ĝiù për cole strà an disceisa e brute 'me ch'a j'ero antlora sensa amplachèse da quaj part j'è gnun ch'a lo sà, al dovìa esse pròpi n'equilibrista) l'andava sempe a Valmòss anté cha j'era 'l pont ëd ritròv ansema j'àucc tre amis. Pròpi an facia al comun sla piassa principal dël pais, che ĝià antlora grassie ij tancc stabiliment ch'a travajavo la lan-a la stava diventand ël ters pù important centro dël Bielèis, j'era la tratorìa Italia. Un local che vist la centralità dël pòst, l'era sempe frequentà da tanta ĝent e an quasi tute j'ore dël di. As lì l'era 'l artreuv, la ca-mare, la tan-a ëd coj quat amis ch'a j'avo batesaje coj dla "crica dl'ungia 'ncarnà ". L'era na combricola ch'a l'ava formase an quat e quatr'òt sensa régole né avocat, e che ormai l'era diventà n'istitussion baravantan-a, pròpi për dila con doe paròle 'me ch'a l'è. Aj favo gnente 'd mal, scio qui për esse sincer venta dilo sùbit për nen visché dëj brut pensé ò difidensse sospetose a tuta la ĝent, ma a-j n'era sempe 'd coj-la ch'a piavo ij distanse, anche se peu a la fin j'avrìo facc part fin-a lor ben volentè a sa squadra ch'a l'ava mèch la mira da passess-la ben n'alegria. J'avo an comun ci pù ci meno na particolarità importanta, purtròp fin-a ancheu' quaj vira sempe anco 'd mòda: a j'èjo pròpi nen tanta vòja 'd travajé. L'era 'l lor garon d'Achille ò, s'av pias anco pù, la lor debolëssa. Për lor bastava fé 'l minim dël minim dl' indispensàbil, vivìo a la giornà, a la bon-a, as preòcopavo gnanca na frisa 'd l' indoman. L'èjsa fin-a drocaje 'l mond, con la calma d'un beu j'avrìo savù trové la manera da schiviélo e sensa agitese tant. Cicòto ch'a l'era l'ultim dla crica, l'ava pòca scòla,pen-a pen-a ch'a l'era bon scrive 'l sò nòm, ma l'era un gran bel giovnòt. Un ëd coj tipo che tante fomne j'avrìo facc ij carte faose për podèj avej ij soe atension. E scio li cëll, anche se smiava an pòch un bonòm (o fòrse a lo fava mèch crëdde) l'ava capilo, e 'l perdìa mai l'ocassion da buté an pratica sa soa vocassion particolar. Ma an cola anada balorda an tute 'l manere,për ël Bielèis dal 1968, dòp la seconda metà d'otober l'ava ancomincià na piovera ch'a la piantava pu nen li. Ij teren ormai ambibià d'aoa da fé paura ancominciavo a perde consistensa e frané ant ij fòs e torent fin-a quand, ant la nòcc dal 2 november, la Stron-a con la soa bura la portava distrussion e mòrt an tuta la valada. Mèch ant la zona dla Valmòss la fòrsa dl'aoa la spassava via ca, fabriche, negòssi e magasin pesc che un bombardament. Dòp coj tre di d'infern longh ël percors dla Stron-a j'avo quintà 58 mòrt. Col aoa cativa, cola che për agn tuta tranquila l'ava dacc da vive, sta vira l'èja colpì tan'me na maledission tut ël Bielèis con ben 72 mòrt an total tra òmni fomni e masnà. A j'è dëj moment ant la vita ch'as podrà mai trové dëj rispòste precisi a tancc përchè. Ma la vita la continua, l'è na regola dla natura. Dòp ël brut pruma ò dòp a-i ven sempe ël bel. Smija nen da crëdde dòp na ròba dësgrassià a pò nassi quasi sempe na ròba positiva. La ricostrussion da afrontè, për tornè a me ch'a l'era, la portà a fé riaussé ij mànij a tucc, comprèis ij nòss amis dla crica. Pròpi lor ch'a j'èjo mai stacc tant amant dël travaj, smijavo dj'àuti person-e, gnanca pù l'ombra 'd que ch'a j'ero prima. Cicòto antant an mes cola disperassion general l'ava fin-a rivaje un colp ëd fortun-a: Tavio, col omo ch'a l'andava ajuté ampinì ij lambich l'èja passà a miglior vita e, vist ch'a l'ava gnun parent visin, con un testament l'ava lassaje tut a cëll. L'era nen pòca roba: n'atività ben anviarà 'd distilassion ëd grappa, na ca con al sò stàbil dausin anté ch'a j'era ij lambich e fin-a 'n bel pòch ëd sòd. Tavio Garbasc l'era n'omo sol ca l'ava mai mariasi anche se quajdun a disìa ch'a l'èjsa stacc un pòch ansema cola Malia. L'ava sempe travajà tant e, për fortun-a dal nòss amis Cicòto, l'ava facc-se un gran ben, col ben che a la fin l'ava usufruìne cëll anche grassie a la soa disponibilità 'd quand ch'a l'andava ajutelo ampinì ij lambich. As pò di ch'al fussa dìventà n'industrialòt. L'ava fin-a slargà l'asienda e tënsion: l'èja frequentà jë scole seraj për tre agn. L'era pù col pòvre maron tan'me na vira, ormai l'era diventà an gamba sia ant al sò misté che tame përson-a: l'era ben vist e rispetà da tucc. Antant l'ava cognosu na bela fomnin-a marià con n' òm ch'a l'era sempe cioch ch'al la maltratava fin-a. Purtròp (ò për fortun-a) l'èja armanù vidova, e Cicòto dòp pòch temp l'ava compagnase con gran armonia. Cël e Luisa ant ël gir ëd pòich mèis j'avo diventà na cobia invidiàbil, a lo ajutava fin-a ant l'asienda anté che antant l'ava butaje 'l nòm "Distileria Tavio", për visese sempe ëd col brav òm ch'a l'era stacc, sensa anfesne, col ch'a l'ava daje 'l posson për esse la person-a ch'a l'era diventà. An pu con l'ajut ëd Luisa l'ava atressase fin-a për prodùe mel che la riussìa vende ant ij negosi dla valada e an Valsesia su fin-a Varal. Ant ël gir ëd tre anade për la gran domanda dël mërcà l'ava triplicà ij buss d'ev e catà na sentrifuga për la smieladura dëj tlé. Tut col ben ch'a l'ava savù fése l'èja meritass-lo, l'era un brav òm, e mai l'avrìa podù dimentichese d'anté ch'a l'avgnìa. Për as fatto qui l'ava andà fin-a ant na gesa 'd Borgsesia për voghe s'al podìa savej quaj notissia 'n pòch precisa sora cola fomna ch'a l'ava butalo al mond. La fortun-a l'ava compagnalo. L'èja stacc andirisà, dòp divers tentativ, d'andé a parlé con un vecc preve che ormai l'ava ritirase ant ël santuari 'd Varal. Don Selmo, un vegiòt un pòch maloreus ma anco lucid e con tanta bon-a memòria, l'ava visase anco 'd col fatt ëd quarant agn pruma quand ch'a l'era prior dla gesa 'd San Pero.
Con nen tròpa insistensa col preve l'ava spiegaje che soa mare, portròp dòp n'eror ëd gioventù, l'ava stacia arfudà da la soa famija ( mentalità nen pròpi rara an coj temp ) mandà via da ca e obligà a rangiese an tut. J'era gnun-e colpe da fèje a cola pòvre fija, anvece da ajutela l'ava dovù subì n'onta 'd n'umiliassion ch'a l'avrìa portass-la për sempe ant la soa vita. L'avrìa mai podù alvé 'l so picinin da sola, cisà me ch'a-j pianĝia 'l cheur quand ch'a l'ha dovù lasselo sla scalinà 'd cola gesa. Don Selmo l'ava fin-a visase che, portròp, forse për colpa 'd col gran dolor mai passà, l'ava vgnù malavia e dòp un ses mèis ant ël sanateuri l'era mòrta sensa gnun davsin. Cicòto anformand-se ben antè ch'a l'era starà l'ava portaje an bel mas ëd reuse rosse. Me ch'a l'arìa piasuje cognòss-la. L'arìa brasciala, sensa ciameje gnente. Mèch ringrassiela ch'a l'ava dacc-je la vita. Cola vita che cëla l'ava nen podù godess-la. Për tancc motiv, ò forse për gnun. L'ava trovà cola tomba, na cros ëd bosch, gnanca un lumin. Almeno 'l cognòm, la foto, gnente, mè 'l nòm: Rosa. Poĝià cole reuse sor col riàuss ëd tèra sabiosa e, dòp avèj rangiaje ben cole preje bianche sël bòrd, al s'ava pu que fé se nen lasseje sora cola cros na lacrima ' d malinconìa e un ricord...col ch'a l'èja mai podu avèj.
Col brut moment dl'aluvion ch'a l'ava portà distrussion e mòrt ant la valada l'era stacc an quaj manera na ciav për fé marové tanta ĝent e cambià ant ël profond fin-a cël, forse anco pù che j'àucc. J'agn a passavo, tante ròbe j'ero cambià ò jë stavo cambiand, portròp nen pròpi an mej. Cola bèla valada un pòch sarà e strencia ma pien-a 'd travaj ch'a l'era l'orgheuj 'd tuta la zona, sa stava pian pianin slinguand tan'me la fiòca al prim so d'avrilanda. An tuta l'Italia la crisi as fava sente an tucc ij setor, sensa stè li a scerché un motiv, na rason ò na colpa da dejé a quajcòs ò a quajdun ch'as sarìa gnanch a ci punté 'l di con precision. Mèj fërmesi ant un dùbit inossent ò magari ant la convinsion ch'a dovìa andé 'me ch'a l'è andà, con na san-a rasegnassion ant ël pensè che dòp an temp a-j no ven sempe n'àut. Speroma.


Motivazione: Storia di un personaggio assai curioso e particolare con una vita a due facce, prima sfaccendato e un po’ ubriacone e poi, dopo una disgrazia che mette in ginocchio la sua terra, eccolo diventare persona lavoratrice e persino con dei sentimenti assai nobili. Il tutto con descrizioni di luoghi e di un modo di vivere che ormai non c’è più, ma che l’autore ci fa rivivere con immagini vivide e reali.
La grafia, probabilmente della parlata biellese, porta a suoni e lemmi particolari, caratteristici e genuini.

Sez. libri
1° Classificato: “Limpida è la sera” di Enrica Mambretti da Lurago d’Erba (CO)

Motivazione: Un mondo in cui adulti e adolescenti, spesso scambiandosi i ruoli, si parlano e si confrontano, finendo per conoscersi e crescere insieme. Bella storia di formazione intergenerazionale, scritta con garbo e consapevolezza stilistica.



 

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